Il Santuario di Santa Maria di Merino sorge isolato a 7 km a Nord di Vieste nell’omonima piana.
La piccola bianca chiesetta, dall’enorme valore simbolico per i fedeli Viestani, è un pregevole esempio di chiesa rurale Pugliese, manufatto tipico delle campagne del mediterraneo, simile alle masserie di una volta.
La tradizione collega la costruzione della cappella al ritrovamento, sulla spiaggia poco distante, della statua lignea raffigurante la Vergine Maria. La parte centrale del santuario è la più antica ( sec. XI-XII) e si innesta sui residui muri di una antica villa o santuario di epoca romana ed è circondata dai resti archeologici, le altre cappelle sono state costruite successivamente ( 1831-1861-1909) .
Secondo la tradizione, il luogo del santuario coinciderebbe con il sito della “antica città di Merinum”. Gli scavi iniziati nel 1938 non sono stati mai conclusi e quanto era stato scoperto i contadini dell’epoca lo hanno riseppellito. La supposizione dell’esistenza di una vera e propria “città di Merinum” è da attribuirsi ad una controversa citazione dell’opera “Historia Naturalis” di Plinio il Vecchio, in cui si fa riferimento al popolo Merinate del gargano “Merinates ex Gargano”, (facendo ipotizzare l’esistenza della città di Merinum), anche se alcune versioni riportano l’iscrizione “Metinates“, quindi riferito alla cittadina di Mattinata.
L’esistenza città della antica città di Merinum è stata smentita o confermata successivamente da altri storici antichi ¹(Olstenio, Cellario, Cimaglia) che prendendo spunto da Plinio il vecchio, collocarono la città misteriosa dove ora sorge la città di Vieste o nella piana dov’è ancor presente l’antico Santuario. Da altri documenti emergerebbe che il Vescovado² della città di Merinum durò fino al 1099, quando questi fu unificato a quello di Vieste da papa Pasquale II che assegnò entrambi all’arcivescovato di Siponto (Manfredonia) . Le ipotesi sulla scomparsa della misteriosa città si susseguirono, forse fu sommersa da un’inondazione, o distrutta da un terremoto, o messa a ferro e fuoco dai soliti saraceni, o abbandonata a causa dell’aria malsana della vicina palude Pantano o più semplicemente, mai esistita.
Sul mistero della città fu parzialmente fatto luce nel 1954, quando in seguito a un terremoto spuntarono i resti della Villa romana e quelli di una fattoria agricola (Fioravanti) di età romana agustea , destinate alla produzione olearia e vinaria e entrambe utilizzate dal I sec. a.C. al V-VI sec. d.C. Emersero olle e capienti vasi, segno della già allora abbondante produzione del buon olio di oliva di Puglia; si offrì all’ammirazione degli esperti un ben congegnato sistema idraulico fatto di cunicoli, vasche , lunette, canali di deflusso, pozzi. Nella villa apparve , ben conservato, un bellissimo mosaico con una scena rurale: un cavallino che nasceva , figure di donne , una col cigno. Tuttavia l’imperizia, i vandali e i ladri hanno distrutto gran parte di quello che il tempo aveva restituito.
Fonti più recenti, come Francesco Innangi³ e Volpe ci dicono che l’origine del nome “merinum” viene semplicemente da “Marina”. La zona non sarebbe altro che “la marina” della vecchia Vieste, che coinciderebbe con l’antica Uria.
Il santuario potrebbe essersi innestato in quella zona agricola su un vecchio tempio dedicato a Demetra, la dea romana del grano festeggiata come Maria proprio a maggio, prima della mietitura. Ad ogni modo, i resti archeologici in prossimità della chiesa, delle fattorie di Piano Grande e della vicina Necropoli, sono testimonianze importanti di insediamenti nella zona in epoca romana e paleocristiana.
Oggi della antica Villa resta solo qualche muro e la bianca chiesetta , raggiunta ogni 9 maggio dalla statua della Madonna, portata dai fedeli in solenne e sentitissima processione.
La leggenda vuole che la statua fu ritrovata da dei contadini originari di Vieste e di Peschici in prossimità della spiaggia di Scialmarino, ognuno dei due gruppi la pretendeva per se e un vecchio saggio consigliò loro di porre la statua su un carro trainato da buoi, a seconda della direzione presa dal carro lì sarebbe andata la statua. Così fecero e i buoi si incamminarono verso Vieste. Da quel giorno Santa Maria di Merino è considerata la protettrice del popolo Viestano.
Innnangi ci dice però che in realtà la statua “attuale”, fu realizzata durante l’ampia ristrutturazione della Chiesa Cattedrale di Vieste successivamente all’incendio del 31 Agosto 1480 appiccato da Acmed Pascià, probabilmente da Pietro Alemanno.
Un’altra statua lignea, più piccola, era già presente nei pressi della Cattedrale. La statua “originale” faceva parte di una rappresentazione dell’annunciazione posta all’ingresso del vecchio cimitero. Questa statua riuscì a sopravvivere all’incendio di cui ancora oggi porta i segni per poi essere portata, nell’800, in un nuovo cimitero lontano dalle mura cittadine.
La caratteristica posa ricorda le più antiche rappresentazioni della Madonna Annunziata che fila, una rappresentazione molto comune nell’area adriatica sotto l’influsso dell’impero bizantino.
nota 1: Antica topografia istorica del regno di Napoli, dell’ abate Domenico Romanelli
nota 2:Memorie storiche politiche, ecclesiastiche della città di Vieste, Di Vincenzo Giuliani
nota 3: Francesco Innangi, Merino: dal mito alla realtà e MERINO IL SANTUARIO LA FESTA (di Don Giorgio Trotta)